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San Francesco di Paola

Francesco Martolilla nasce a Paola (Cosenza) il 27 marzo del 1416, da una famiglia umile e modesta. I genitori, non riuscendo ad avere un figlio, fanno un voto a San Francesco d’Assisi e alla nascita del bimbo gli impongono il suo nome. Il neonato, però, è colpito da un ascesso maligno a un occhio che ne mette in pericolo la vita. Per la guarigione si rivolgono di nuovo al Santo di Assisi,  promettendo  di  offrirlo  per  un  anno  al  servizio  in  un  convento francescano. All’età di 14-15 anni viene accompagnato presso il convento dei frati conventuali di San Marco Argentano (CS) dove trascorre l’anno votivo. Terminato l’anno, nonostante l’insistente invito dei frati a rimanere con loro, Francesco chiede ai genitori di accompagnarlo in un pellegrinaggio ad Assisi ed è in questo viaggio che decide di visitare alcuni eremitaggi e santuari dove si viveva lo stile di sant’Antonio Abate per apprendere anche le virtù di quei monaci. Questa esperienza segna profondamente il giovane Francesco e al ritorno a Paola si ritira prima in un podere dei suoi genitori e poi in una grotta in montagna per vivere da eremita. Il suo stile di vita attira altri giovani e subito attorno a lui si forma una comunità che vive uno stile quaresimale perpetuo. Allo stesso tempo la fama di santità di Francesco cresce, tanto da attirare su di sé attenzione da ogni parte. Ed è grazie a questa che il re di Francia Luigi XI, gravemente ammalato, avendo sentito parlare del grande potere taumaturgico del Paolano, nella speranza di essere guarito, chiede la sua presenza presso la propria corte. Nell’anno 1483 Francesco, all’età di 67 anni, lascerà l’Italia per approdare a Tours in Francia dove vivrà fino al resto della sua vita. Qui continuando la sua vita ritirata, con i suoi consigli darà un grande contributo politico per la pace tra gli stati europei del tempo grazie anche a una politica di matrimoni combinati. Muore a Tours il 2 aprile del 1507.

Riformatore

Francesco di Paola, non è solo un semplice eremita e fondatore di un Ordine religioso. Egli, infatti, è colui che, nel momento in cui è canonizzato – 1 maggio 1519 –, viene definito da papa Leone X come un dono consegnato alla Chiesa, vigna visitata con premura da Dio, celeste Agricoltore, affinché Francesco, uomo forte, la coltivasse per «illuminare con il folgore della sua lampada le tenebre» di quel delicato periodo storico che essa stava vivendo. E il periodo era particolarmente tenebroso per la Chiesa se si pensa che in quell’anno il   papato   era   nel   pieno   della   diatriba   che   porterà   poi   al protestantesimo e che dopo solo pochi mesi – nel gennaio 1520 – dalla canonizzazione di Francesco di Paola, lo stesso papa Leone X convocherà il primo concistoro contro Lutero. Sappiamo come andò a finire, la diatriba continuò, Leone X emanò poi la bolla Exsurge Domine – 15 giugno 1520 – attraverso la quale dava a Lutero sessanta giorni di tempo per ritrattare, pena la scomunica,  che  arrivò  nel  gennaio  dell’anno  seguente  con  la  bolla  Decet Romanum Ponteficem.

Le parole pronunciate dal papa durante la canonizzazione di Francesco di Paola, hanno  una  maggiore  risonanza  e  un  notevole  peso  se  le  si inquadra per un attimo nel contesto storico e soprattutto le si pongono in quei fatti che hanno poi segnato la storia dell’intera Chiesa cattolica. La riforma attuata da Francesco di Paola e dai suoi frati Minimi non passa dai chiassosi ambienti intellettuali e dai documenti ufficiali decretati dalla Chiesa, non ostenta, né si oppone, ma vive in armonia, risplende, ed è soprattutto benedetta dal buon Dio con ogni tipo di grazia, si rende concreta in quei luoghi silenziosi che hanno a che fare con la fatica del quotidiano; una riforma che è stata capace di farsi luce dei penitenti, di quei miseri che si riconoscono tali e che Dio innalza, permettendo così a quei suoi figli di risplendere di nuovo, di manifestarsi come una nuova creazione, come un magnificat, stile Maria di Nazareth, intonato in quel loro vissuto che certo non passerà alla storia.

Taumaturgo e mediatore

Francesco di Paola è passato alla storia soprattutto per il suo essere taumaturgo. Nei secoli trascorsi, purtroppo, si è forzata un po’ troppo la mano su questo aspetto, al punto tale che si è diffusa una convinzione nel popolo che potremmo sintetizzare con questa espressione: Francesco di Paola faceva così tanti miracoli che era un miracolo quando non ne faceva uno. È questa sicuramente un’esagerazione, ma  in  qualche  modo  è  pur  vero  che  questa convinzione è figlia di un’esperienza vissuta, anomala per molti versi, ma che è documentata nelle testimonianze di tante persone che hanno poi deposto nel processo di canonizzazione e soprattutto da episodi imbarazzanti accaduti con i dotti e perfino con qualche papa del tempo.

Famosa ad esempio è la diatriba che i dottori calabresi ebbero con Francesco di Paola a causa di quel suo vizio di dare, come rimedi, elementi più svariati quali erbe, infusi, frutta, biscotti, pane  e  altro  che  avevano  probabilmente  nella credenza e nel sapere popolare del tempo effetti curativi, ma che il più delle volte non erano appropriati ai casi di malattia che gli venivano sottoposti. Francesco di Paola in tutti i casi precede o accompagna il suo gesto con la preghiera, la benedizione, l’esortazione a pentirsi dei propri peccati e a credere, con la certezza che Dio verrà in aiuto. Sicurezza, questa, che nasce dal suo modo di intendere la realtà come realtà creata e sostenuta dalla Provvidenza.

Coloro che accorrevano all’eremo di Paola erano persone in cura da medici della regione ed erano per lo più malati catalogati come casi impossibili da curare. Dinanzi alla fama di Francesco di Paola, grazie a queste guarigioni inspiegabili che mettevano in difficoltà la medicina del tempo, ci fu la reazione dei medici che, mossi probabilmente dall’invidia e dalla rabbia per il mancato guadagno e per il fatto di dover competere con un ignorante, diedero vita a una coalizione per ostacolare l’agire dell’Eremita paolano. Iniziarono così a screditarlo, accusandolo di essere un erbaiolo e cioè una persona che praticava   magia, pratica   condannata dalla   Chiesa.   Per   cui incaricarono un famoso predicatore, un certo fra Antonio Scozzetta, esperto in lettere, che lo rimproverasse apertamente in ogni occasione. Ma anche questo tentativo andò male, il frate predicatore infatti nel momento in cui incontrò Francesco e lo conobbe di persona, si pentì amaramente per tutte le parole dettegli contro. Per cui anche il frate assunto per parlare male di Francesco, iniziò a parlare bene contribuendo così alla crescita della fama di santità che il Paolano si portava dietro.

Fama che arrivò addirittura in Francia presso la corte del re Luigi XI (1423-1483), l’uomo politico più potente del tempo, ammalato di apoplessia. A parlare di Francesco fu un certo Matteo Coppola, mercante napoletano che lo aveva conosciuto di persona e che riaccese le speranze nel re cristianissimo. In poco tempo si organizzò un’ambasceria che aveva come missione di andare in Italia e portare l’eremita calabrese in Francia alla corte del re. Così, a metà dell’anno 1482, l’ambasceria arrivò in Italia, con difficoltà riuscì a trovare Francesco, che in quegli anni si muoveva tra la Calabria e la Sicilia per la costruzione di nuovi conventi, e  lo  invitarono  ad  andare  a  corte.  Il primo tentativo non riuscì, Francesco declinò l’invito e per questo motivo la macchina diplomatica si azionò ed ebbe vita quello che potremmo definire un caso politico molto difficile da risolvere. Così, quello che era soltanto un invito divenne un’imposizione. Luigi XI, infatti, si rivolse direttamente a Ferrante d’Aragona re di Napoli (1424-1494) affinché obbligasse quel suo suddito ad andare in Francia per guarirlo. All’ambasceria francese si unirono dunque gli emissari del regno di Napoli, ma l’incontro con Francesco non produsse i frutti sperati. L’eremita calabrese, infatti, ancora una volta rifiutò. Nacque così una fitta rete di scambi, sappiamo che l’ambasceria francese si mosse molto pur di convincere il paolano e che addirittura il suo soggiorno in Italia durò sette-otto mesi fin quando il re Luigi XI si decise di scomodare addirittura il papa. Ed ecco l’imbarazzante storia, il re francese che aveva questioni pendenti con la Santa Sede, pregò papa Sisto IV (1414-1484) di sollecitare Francesco di Paola affinché andasse  in Francia per guarirlo. Nonostante l’assurda richiesta, per il Papa fu l’occasione giusta per risolvere alcuni problemi, così inviò due obbedienze a Francesco, pena la scomunica. Il paolano accettò l’obbedienza e nel febbraio del 1483 si mise in viaggio verso la Francia: l’intervento del papa fu per lui il segno che tutto ciò era volontà di Dio. Francesco quindi  si  aggregò  all’ambasceria  e  improvvisamente,  da taumaturgo, si  ritrovò a  ricoprire ufficiosamente il  ruolo di  mediatore tra il papato e la corte di Francia con una missione specifica: quella di guarire con un miracolo il re più potente dell’Europa. Così quella fama di guaritore prodigioso, frutto di un sentire popolare, fu avallata addirittura dal papa del tempo.

È interessante sapere però, che una volta arrivato in Francia, Francesco colse tutti di sorpresa e incontrando il re gli disse che il buon Dio non voleva la guarigione e che gli rimaneva poco da vivere, per cui lo invitò a rendere quel tempo di malattia, un tempo di conversione.

Profeta della penitenza e della conversione

L’invito alla conversione fatto al re Luigi XI e non la guarigione istantanea fu una grande sorpresa per tutti, soprattutto se si pensa che una volta arrivato sulle coste della Francia, si registrano numerosi guarigioni lungo il tragitto che lo porta a Tours presso la corte del re. Ma l’invito alla conversione per Francesco non era  assolutamente una novità. Riguardo alla malattia, infatti, Francesco aveva uno stile di approcciarsi che possiamo definire particolare. A ogni guarigione invitava le persone ad avere fede, ma a questa richiesta aggiungeva sempre un momento di preghiera che solitamente faceva ritirandosi in disparte. Era questo il modo per poter scrutare la volontà di Dio e agire. L’episodio del re, dunque, non è l’unico caso in cui Francesco  dice  chiaramente  all’interessato  di  prepararsi  all’incontro  con  il Signore perché non è volontà di Dio la guarigione. Abbiamo altri casi in cui si documenta lo stesso modo di fare. Per Francesco, la realtà creata è sostenuta dalla Provvidenza e tutto rientra in un piano divino. Si tratta quindi di porre ascolto per poter capire a pieno questo piano divino che lentamente si svela.

Il  primo obiettivo dunque non  è  la  guarigione, ma  quello di  condurre la persona all’accoglienza del progetto di Dio, il quale tesse una storia di salvezza nella storia personale di ciascun essere umano. Ed ecco quindi che l’agire dell’Eremita calabrese diventa ogni volta un agire profetico che traccia la strada verso Dio e i suoi piani d’amore; un agire, questo, che richiede un cammino fatto di penitenza e di conversione. Per questo motivo Francesco viene visto come un novello Giovanni Battista che scuote le folle a preparare le strade per l’incontro con Cristo Gesù e poter essere così appieno veri discepoli.

I miracoli, il parlare chiaro, lo spronare, il mettersi affianco alle persone e diventare guida, sono soltanto l’espressione della carità  che Francesco attinge dall’amore misericordioso di Dio che si abbassa continuamente sulle miserie umane   per   rivestire   l’umanità   della   dignità   di   figli.   Gesti,   questi,   che rinfrancavano tutti coloro che per un motivo o per un altro giungevano da lui. Tutte queste persone per cui si sentivano  ascoltate, prese in cura, amate. Non è un caso se nelle popolazioni del sud Italia ancora oggi Francesco di Paola viene chiamato  il  santo  Padre.  Il  riferimento  qui  non  è  al  titolo  papale,  ma  a quell’amore paterno di Francesco che è capace di prendere in cura, di educare e di custodire.

Ciò accade anche in Francia, a partire dal luglio del 1483, con colui che era considerato  all’epoca  l’uomo  più  potente  del  tempo.  Francesco  non  si  tirò indietro  nemmeno  quella  volta,  parlò  chiaramente  fin  dal  primo  momento, rischiando molto, e fu per Luigi XI l’inizio di un cammino di conversione lento ma efficace. È testimoniato che la presenza di Francesco a corte fece cambiare l’ambiente  reale  perché  fu  destabilizzato  dalla  semplicità  di  quell’eremita innocuo e dei suoi frati che fondavano la loro vita sulla penitenza, la preghiera, il lavoro e la continua conversione. E fu così terapeutica questa presenza che, secondo una antica tradizione,   Luigi XI in persona, prima di morire, fece promettere a Francesco di non rientrare in Italia ma di restare a Tours per prendersi cura dei suoi figli ancora troppo giovani per governare. E così accadde: quella che doveva essere una missione temporanea divenne stabile. Francesco e i suoi frati rimasero lì in Francia e vissero ritirati nel convento di Tours, immersi dal verde del parco reale, per rimanere in ascolto, per capire e accogliere il piano di salvezza di Dio che si rivela a partire dalla bellezza del creato.