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Giovani Minimi

1. Il coraggio del chiamato di mettersi in viaggio

Allorché Francesco giunse all’età di quindici anni, fu avvisato del voto fatto dai suoi genitori, e senz’altro volle compierlo. A tale scopo fu accompagnato dai suoi genitori al Convento di S. Francesco in S. Marco, al quale la madre lo aveva promesso a Dio con voto.

(Dalla vita dell’Anonimo)

È bello notare, come Francesco all’età di quindici anni, ha subito il coraggio di mettersi in viaggio, lasciare la sua casa ed andare al convento di S. Francesco d’Assisi a San Marco Argentano.

Tutto ciò vuol dire per te, giovane, che se vuoi riconoscere la tua vocazione, devi metterti subito e con coraggio in viaggio.

Ma che cosa significa “mettersi in viaggio” e perché mettersi in viaggio?

Ci si mette in viaggio per raggiungere una meta, per realizzare uno scopo. In questo tuo muoverti caro/a giovane ricordati che ci sono le tue mete e le mete di Dio.

Tu sei consapevole di una meta? Conosci uno scopo per quel viaggio che è la tua vita? Sai cosa vuoi o ,almeno, te lo stai chiedendo? Sai quel che cerchi?

Stai attento, però, che puoi metterti in viaggio, però con un’altra possibile motivazione: si decide di camminare perché si è stanchi di stare fermi; si ha voglia di andare, anche senza sapere bene dove si vuole andare.

C’è chi decide di mettersi in viaggio solo quando ha già visto con precisione la sua meta.

Questo comporta almeno due rischi:

Il primo è quello di rimanere seduti per tutta la vita. Per essere sicuro della tua meta, ti fermi ad analizzare tutto, perché vuoi essere sicuro che quella meta sia il “bene per me”. Ma tu sai sempre qual è il tuo bene? Non corri forse il rischio di restare semplicemente fermo, in attesa che il futuro ti venga incontro?

Il secondo rischio è diametralmente opposto al primo: è la tentazione di chi parte troppo sicuro, di chi pensa di sapere già quale sia la sua meta, rischiando di non cercare la volontà di Dio, ma semplicemente la sua.

A te, come a Francesco di Paola, come prima ancora ad Abramo, a Mosè, a Israele schiavo in Egitto, viene rivolto l’invito di incamminarti verso la terra promessa, senza sapere che cosa questa ti riservi; si tratta di fare un po’ di deserto, come Francesco di Paola che si ritira in una grotta, come il popolo Israele.

Mettersi in viaggio vuol dire anche questo: avere la consapevolezza che si va verso Qualcuno che è il Signore nostro Gesù Cristo.

Il cammino non nasce spontaneo, ma è frutto del tuo volere.

È per questo che è importante essere chiari davanti al Signore: “Io voglio camminare, mettermi sul Tuo sentiero, accogliendo, di volta in volta, il nuovo percorso che misi apre davanti”.

È camminando, infatti, che si apre il cammino. Occorre apertura all’imprevedibile. Dio è tale: Egli è l’Imprevedibile. Le scoperte arriveranno durante il viaggio.

Dio ti ma al punto da desiderare qualcosa di grande per te. Se riesci a comprendere, fino in fondo, che questo è il desiderio di Dio per te, verrà naturale domandarti: “Che cosa posso fare per capire questo disegno che Dio ha su di me?”.

Se ti lasci interpellare, può capitarti di andare in crisi; se accetti di metterti in gioco, Dio ti prende in parola, ti scombussola i tuoi piani.

Ma il Signore lo aveva predestinato a cose maggiori. Passato l’anno e compiuto il voto, volle partire.

(Dalla vita dell’Anonimo)

La prima tappa di un serio cammino vocazionale passa necessariamente attraverso questi interrogativi:

Hai in mente che Dio ti ama e ha grandi progetti su di te? Stai cercando di avvicinarti a Lui? Ti rendi conto che la tua vita non è frutto del caso?

Se non è frutto del caso, non puoi viverla a caso. C’è Qualcuno che ha pensato a t da sempre e ha in mente qualcosa di veramente straordinario che è destinato a te soltanto e a nessun altro/a . Tutti, infatti, ci incamminiamo, come Francesco di Paola, per riconoscere la vocazione Dio, ma ciascuno con la sua storia tutta particolare, originale.

Proprio questa originalità è forse una delle paure maggiori per un/a giovane che come te vuole mettersi in ricerca. Ecco, allora, qualche suggerimento concreto, perché questa prima meta porti davvero il frutto nel tuo cuore.

Devi, anzitutto, decidere di metterti in cammino con molta serietà, senza aspettarti delle risposte pronte. Le risposte non arrivano dall’esterno, sono dentro di te.

Fare seriamente questo cammino vuol dire anche che non si può un giorno desiderare di partire e poi, dopo poco, deciderei tornare indietro: così facendo avrai dei risultati davvero deludenti. Importante è non sapere con certezza dov’è la meta, ma avere il desiderio di tendervi.

Stendi un preciso programma settimanale di preghiera, precisando:

  • Il luogo dovi pregherai.
  • Il tempo della giornata in cui pregherai.
  • Gli strumenti che aiuteranno la tua preghiera.

2. I segni personali e i segni comunitari fondamentali della chiamata

Bisogna partire da questa distinzione, perché Dio può parlare con te in modo originale e, quindi, ti offre segni particolari; ma può parlare anche attraverso segni più comuni, che hanno un valore per tutti.

I segni particolari appartengono alla tua storia personale : e tu questi segni sei chiamato a conoscerli. Si tratta del modo particolare di come hai capito che Dio ti chiamava; si tratta di alcuni avvenimenti, circostanze, persone, emozioni, che hanno rivelato in te la presenza di una chiamata da parte di Dio. Gli altri segni, quelli oggettivi validi per tutti, sono fattori essenziali, che devono essere presenti in ogni chiamata, perché possa dirsi tale; e con questi segni vanno confrontati e verificati i segni personali e soggettivi al fine di accertare di non esserci sbagliati o illusi.

Questa verifica e confronto è importante, perché spesso l’emozione può giocare brutti scherzi.

Cerchiamo ora di individuare quali siano questi segni oggettivi:

A) Amore preferenziale per Dio.

I segni di questo amore sono:

  • impegno a vivere in grazia di Dio lottando contro il peccato;
  • l’inclinazione alla preghiera;
  • l’attenzione alla crescita di fede e della propria vita interiore;
  • vita sacramentale assidua.

B) Amore alla Chiesa

I segni per verificare quest’amore sono:

  • immaginarsi nelle vesti e nei ruoli delle persone che stanno già vivendo la vocazione verso la quale tendi, e sentirsi felici;
  • inclinazione all’animazione dei gruppi;
  • sentire il problema della crescita della Chiesa e del suo lavoro;
  • verificare se di fatto già ti senti felice di spendere il tuo tempo libero per le attività della Chiesa.

C) Capacità di servizio

Si tratta di entrare nella logica di donare la tua vita per la persona amata.

I segni per individuare e misurare in te questo valore sono:

  • non cercare sempre il tuo utile; sentire i problemi degli altri;
  • non pretendere che il mondo ruoti attorno a te; non stare a vedere solo quello che gli altri possono e debbono fare a te, ma soprattutto quello che io posso fare e dare agli altri;
  • gioire per aver servito senza lode e contraccambio;
  • dare senza secondi fini.

D) Essere una persona di comunione

I segni per verificare l’esistenza in te di questo valore sono:

  • capacità di condivisione con quelli con i quali condividi qualche impegno;
  • sforzo di fuggire dall’individualismo;
  • capacità di dialogo e rispetto dell’opinione altrui.

E) Impegno di conversione

I segni per la verifica in te di questo valore sono:

  • disponibilità a rinunciare al tuo punto di vista;
  • prove concrete che sei riuscito a cambiareatteggiamenti e forme di vita;
  • costanza negli impegni assunti;
  • esperienze di rinuncia, vissute senza drammi e felice per averle fatte.

F) il dono del celibato

Il celibato per il Regno dei Cieli è un dono che si fa al Signore e ai fratelli per una libertà totale di amare e di servire i fratelli. Si tratta quindi di un discorso non basato primariamente sulla rinuncia, ma sull’amore e sul dono, e conseguentemente sulla libertà di poter vivere l’uno e realizzare l’altro.

I segni per conoscere se hai questa vocazione sono:

  • comprendere il celibato nono vuol dire non sentire l’impulso sessuale: sentirloè nell’ordine della natura. Occorre invece capire che il celibato è un’offerta fatta con gioia;
  • si tratta di equilibrare gioia e dono. Se riesci a sentire la gioia del dono e il dominio della tua sessualità non provoca in sofferenza, ansia, frustrazioni, tristezza, allora certamente puoi dire di essere chiamato/a al celibato;
  • verificare se riesci a fare un certo cammino di continenza, anche se graduale;
  • verifica se riesci ad essere prudente, sobrio, moderato.

Indicheremo ora due principi che possiamo definire basilari per il cammino di verifica.

Quando si entra in cammino, che è poi uno stato di vita, bisogna starci con verità e autenticità, altrimenti non potrai misurarti mai con esso al fine di verificare se sei idoneo/a a percorrerlo.

  • Superare il formalismo. Cadi nel formalismo quando agisci non per convinzione, ma solo per apparire. Mancano al fondo della tua coscienza convinzioni profonde e allora, forse perché hai alcuni interessi a stare in un dato ambiente o situazione, cerchi di “adattarti” alle leggi di questo ambiente, ma senza amarle. Si cade nell’ipocrisia.Bisogna cercare allora di raggiungere una convinzione profonda sui valori e sulle regole che appartengono alla tua particolare scelta di vita; quando li vivi con sincerità e fedeltà non devi temere il giudizio degli altri, né aspettare il loro consenso. Questo è indice di forte personalità e di grande libertà interiore.
  • Fedeltà nelle piccole cose. Conosci la scrittura: Chi è fedele nel poco, sarà fedele anche nel molto. Per piccole cose intendi i modi semplici attraverso i quali si presentano a te i grandi valori. Si tratta, perciò, di valori, che sono sempre grandi cose, la cui possibilità di attuazione si presenta a te per lo più attraverso piccoli gesti e semplici situazioni. Nella vita forse non ti capiterà mai di misurarti con grandi gesti eroici; hai però la possibilità di dimostrare un eroismo, quando assumi con fedeltà e impegno la vita di ogni giorno.

3. Le paure del chiamato

Con l’intenzione determinata di menare una vita solitaria, Francesco di Paola si ritirò in un podere di suo padre, distante quasi un chilometro da Paola. I genitori gli procuravano il necessario. 

(Dalla vita dell’Anonimo).

Colpisce, una volta compreso il progetto di Dio su di lui, l’intenzione determinata che ha Francesco di Paola nel realizzarlo. Anche tu devi, quindi, vincere le paure che possono venirti quando, ormai ti senti chiamato/a. Infatti colui/colei che Cristo chiama è suscettibile di passare attraverso l’una o l’altra di queste cinque emozioni, o di tutte e cinque insieme.

La Bibbia, su questo argomento, è piena di situazioni tragicomiche, o, se si vuole, ridicole benché sublimi.

L’essere umano, sorpreso dal “vieni, seguimi”, cerca di sottostare all’invito mediante l’una o l’altra di queste goffe scappatoie:

1) “Non sono libero/a”

Ho già fatto il mio programma, sono super occupato/a, non c’è più spazio. La Parola di Dio non prevede l’impossibilità: essa supera ogni altro dovere. Sarebbe difficile immaginare Maria che rispondesse così all’Arcangelo Gabriele: “Sono desolata, caro Gabriele, ma sono già impegnata con Giuseppe. Ma troverai certamente una giovane che sia libera e che sarà molto felice della tua proposta…”

2) “Non sono capace”

Qui, uno si fa forte dell’incompetenza, con un’apparenza di umiltà che nasconde malamente la poca voglia o il timor di panico.

È il caso di Mosè davanti al roveto ardente: Incaricato da Jahvè di andare a trovare il Faraone per intimargli di lasciar partire Israele, si dibatte con tutte le sue forze per sfuggire a tale difficile missione. Snocciola tutti gli argomenti che sa: “Chi sono io per andare dal faraone?”(Es 3,11).

3) “Non sono degno/a”

Anche qui si spera di intrappolare Dio attraverso l’umiltà.

L’obiezione sembra insormontabile ma Cristo non teme la tua dignità dal momento che tu la riconosci. Ti dice come a Paolo: “Ti basta la mia grazia. La mia potenza si manifesta nella debolezza” (2 Cor 12,9).

Concludi, dunque, come l’Apostolo: “Mi vanterò quindi volentieri delle mie debolezze, perché si stenda su di me la potenza di Cristo… Perché quando sono debole, allora sono forte”.

4) “Non vedo dove questo mi porterà”

Qui si passa all’attacco: le difficoltà non sono dalla parte tua ma dalla parte di Dio, le cui proposte mancano della più elementare precisione.

Abramo, lasciando la Caldea (Gn 12,1-9), non domandò a Jahvè una guida Michelin per riconoscere le sorgenti di acque dolce tra la città di Ur e la quercia di Mamre, come nella Parigi-Dakar. E Maria non chiese a Gabriele un prospetto completo per Madre di Dio, al fine di sapere che cosa fare in caso di fuga in Egitto.

In un magnifico capitolo sulla fede nella Bibbia, la lettera agli Ebrei(11,18) dice: “Abramo partì senza sapere dove andava”.

5) “Non ho sufficienti garanzie umane”

Qui bisogna pensare a Pietro mentre cammina sull’acqua (Mt 14,22-36).

La decisione più motivata comporta sempre un rischio; è il vincolare la propria libertà, non il semplice mettere in moto un meccanismo.

Occorre un avvenimento spirituale imprevedibile, che comporta una certa “scommessa”.

6) “Ho paura di fare fiasco”

Il seguire Cristo conduce alla croce: il Signore non ha preso nessuno a tradimento (Gv 14,29). L’importante è non illuderti sulle difficoltà che ti attendono. C’è dunque la tentazione di “arrossire al vangelo” (Rm 1,16) per non perdere la faccia.

Convinciti bene che non avrai mai peggior nemico che te stesso/a.

4. La direzione spirituale

In un cammino di discernimento vocazionale c’è un grosso pericolo: andare avanti da soli. Eppure tu devi sapere che il peggior giudice di te stesso, nel bene e nel male, sei ancora tu.

Da una parte, ci sono persone profondamente segnate da una visione negativa e pessimistica di se stesse, per cui vedono la loro realtà più oscura di quanto non lo sia.

D’altra parte, invece, ci sono persone con un atteggiamento esattamente opposto: esse vedono la loro realtà sempre al positivo, ne hanno una visione troppo ottimistica. Costoro hanno sempre una giustificazione, senza mettersi mai in discussione fino in fondo. Oppure, sono connotate da una tale superficialità da non sapersi avvedere di errori e manchevolezze, soprattutto nel campo delle omissioni.

Per evitare questo pericolo ti è dato uno strumento grande, cui puoi ricorrere per mezzo della Chiesa: vivere in sincerità la tua scelta vocazionale che non è una scelta personale, bensì una scelta ecclesiale, con l’aiuto di una guida spirituale.

Parti con qualche affermazione biblica:

  • “Guai a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi” (Qo 4,10);
  • “Non fare nulla senza riflessione; alla fine dell’azione non te ne pentirai” (Sir 32,19);
  • “Frequenta spesso un uomo pio che tu conosci come osservante dei comandamenti e la cui anima è come la tua anima: se tu inciampi saprà compatirti; segui il consiglio del suo cuore, perché nessuno ti sarà più fedele di lui” (Sir 37,12-13).

Ma che cos’è la direzione spirituale?

C’è rischio che si faccia un po’ di confusione intorno a questo argomento.

La direzione spirituale è un ministero (servizio) esercitato nella Chiesa e per incarico della Chiesa, per cui il padre spirituale lo devi vedere come rappresentante della Chiesa e non come una semplice persona con i propri meriti e limiti.

La direzione spirituale è un dono di Cristo alla Chiesa ed è l’aiuto attraverso il quale lo Spirito Santo fa in modo che tu arrivi alla santità. Né la rivelazione biblica né la tradizione della Chiesa impongono questo aiuto, ma senza direzione spirituale non c’è progresso interiore.

Essa non è né lo sfogo psicologico né la chiacchierata simpatica con il prete, ma un incontro a tre, in cui è lo Spirito Santo a giocare il ruolo determinante.

Se non c’è questa certezza della terza Persona, che attraverso la direzione spirituale agisce, si butta via il tempo.

Se la certezza c’è, la preghiera è logica conseguenza. Lo Spirito è il Dono. Va invocato: per sé e per il proprio padre spirituale.

Ci sono due rischi, oggi, nella direzione spirituale:

  1. Non lasciarsi aiutare.
  2. Farsi sostituire.

Infatti, c’è chi dice: “Io vado, vedo, se mi va bene lo prendo, se non mi va bene non lo prendo”. C’è invece chi afferma: “Voglio tutto, quello che mi dice io faccio, anzi, speriamo che mi dica lui cosa fare;

Che cosa viene chiesto a te, come figlio/a spirituale?

  • Un minimo di serietà da parte tua: vale a dire la tua ferma volontà di crescere e di camminare;
  • L’apertura: tu che ti fai devi essere profondamente aperto, se non lo sei con il tuo padre spirituale non lo sei con nessun altro;
  • La fiducia: devi essere disposto/a ad ascoltare anche le indicazioni “scomode” del padre spirituale.
  • La tua disponibilità ad accettare le regole del gioco: il direttore spirituale cerca insieme a te, si mette in ascolto, prega, si confronta, vede i tuoi risultati e ti indirizza.

Quali sono i punti su cui lasciarsi guidare?

  • Mettiti in piedi e vivi la tua vocazione. La direzione spirituale deve portarti a capire che cosa il Signore vuol da te: che ti alzi in piedi, che ti metta a camminare. A questo proposito chiediti: sto veramente seguendo il Signore oppure sto sempre o prevalentemente seduto/a?
  • C’è un itinerario penitenziale che devi compiere e questo viene prima di tutto, come ci insegna il carisma Minimo.

Ma, che cos’è questo itinerario penitenziale?

Non è soltanto il confessarsi e non è l’insieme delle confessioni che uno ha fatto nella vita, più o meno apertamente e/o frequentemente, ma è proprio l’atteggiamento spirituale che ti fa riconoscere la tua fragilità, che ti fa capire che, per arrivare in alto, devi cominciare a partire dal basso e per iniziare a costruire positivamente, devi cominciare a far pace con quello che c’è ancora di negativo, con quello che dovrebbe diventare positivo.

Quali sono gli atteggiamenti penitenziali?

Possono essere tanti: fare memoria del proprio passato; forme di sacrificio, di riparazione; educare la volontà per non slittare verso ciò che è sbagliato: le “rinunzie” hanno anche questo scopo. In ogni modo, l’itinerario penitenziale porta a vivere il sacramento della Riconciliazione come tappa di questo cammino di purificazione e di guarigione. Chi scopre questo sacramento e lo vive serenamente, cammina molto; il sacramento della Riconciliazione è un momento d’incontro con l’amore del Signore ed è determinante per la tua vita. La direzione spirituale è un itinerario spirituale è un itinerario che ti insegna a pregare, a crescere nell’incontro, nella confidenza, nel dialogo, nel rapporto affettivo con il Signore Gesù.

Ora, chiediti:

  • Se hai davvero preso coscienza della presenza e dell’azione dello Spirito Santo, nella tua storia personale, attraverso la guida del padre spirituale?
  • Se sei aperto pienamente, completamente, in tutti campi, con chi ti guida?
  • Se c’è forse un aspetto della tua vita su cui non hai avuto il coraggio di aprirti fino in fondo?
  • Se preghi per il tuo padre spirituale?
  • Se ce l’hai un padre spirituale?
  • Se no, perché?
  • Vorresti provare a pensarci?

5. Superare i momenti di crisi e la fase del rigetto

È il momento in cui devi accettare quella profonda trasformazione di te stesso/a, che passa attraverso il morire a tante cose per poter risorgere.

Anche sulla croce “a mezzogiorno” si fece buio su tutta la terra. È il momento di rinascere, come insegna Gesù a Nicodemo (cfr. Gv 3,1-11).

Ti è così tracciato l’itinerario della vita quaresimale, che è il carisma dell’Ordine dei Minimi, la famiglia religiosa fondata da frate Francesco di Paola. È il tempo della riscoperta del tuo essere battezzato/a; sei interpellato/a a compiere un cammino di morte a te stesso, per arrivare alla tua Pasqua e sentirti risorto/a con Gesù il tuo Signore.

Morire a te stesso per rinascere; significa realizzare un cammino di continua conversione, quell’intento di fare maggiore penitenza e quel progredire continuamente di bene in meglio, come ha insegnato Francesco di Paola. Devi entrare nella logica del chicco di grano che cade in terra e muore per portare molto frutto (Gv 12,24).

Stai, comunque attento/a, in questa fase del tuo cammino vocazionale e penitenziale, alla tentazione del rigetto e alla fatica della sequela.

Che cosa vuol dire questa tentazione del rigetto e la fatica della sequela? La fase del rigetto è quella fase in cui la tua libertà si scontra con la libertà o con la volontà di Dio e nasce la tentazione del rifiuto. Il rifiuto si manifesta attraverso il “No, non voglio!” oppure attraverso delle scuse.

Questo tipo di esperienza ti si manifesta in mille modi: la stanchezza, il lasciar perdere, il far entrare nella mente mille impegni, il sentirsi indispensabili oppure ti si manifesta quando si comprende che, nel viaggio, non mancheranno le difficoltà nel non essere capito/a, compreso/a, o preso/a in giro dagli amici, familiari, ecc.

Nella sequela del Signore ciò che sconvolge è che questa fatica, questo silenzio di Dio non sono un “incidente” nel cammino di fede, e neanche un segno, un atteggiamento che non stai camminando sulla strada di Dio; anzi sono proprio il segno di Dio. Ricordati che tu sei un eterno pellegrino, che cercherai sempre il Signore e non lo incontrerai mai definitivamente.

Infatti l’esperienza di fede è un continuo esodo, come ti insegna il carisma penitenziale di Francesco di Paola, ed è un continuo andare a cercare Dio: un volto che c’è e poi ti sparisce, che ti si avvicina e ti si allontana. Anche gli apostoli sperimentano la solitudine, il silenzio di Dio, la notte, il buio.

Anche per Gesù l’esperienza di fede arriva a essere quella della vicinanza del Padre che tace; m a Gesù riesce a distinguere bene che un conto è quello che uno sente e un conto è quello che uno è. La fede non è un sentire, poiché la fede è un sapere.

Ecco quello che devi sempre dire: “Signore, io non ti sento, ma so che tu ci sei. Non ti vedo, non capisco quello che tu vuoi da me, tuttavia so che tu sei qui, ora con me”.

Di fronte a questa fatica, sono possibili queste reazioni:

Abbandonare il campo.
A volte, dopo molti anni, persone che hanno fatto un cammino, che hanno cercato la propria vocazione, a un certo punto sperimentano questa fatica e non la accettano. Costoro desidererebbero un’esperienza concreta e viva di Dio, e invece lo sentono come morto, assente. Alla fine Dio è come un amico che hanno incontrato e poi hanno lasciato.

Stancarsi dopo l’entusiasmo iniziale.
Di solito nel cammino vocazionale succede così: il Signore, quando ti fa innamorare, sempre molto presente. Poi, arrivano i momenti un po’ difficili e questo cammino, nel buio e nella fatica, potrebbe condurti a una certa apatia e a una certa indifferenza. Tu però impegnati ad accogliere il momento di aridità, altrimenti potresti correre due rischi:

a) vivere in nostalgia, rifugiandoti nel passato;

b) cadere nell’attivismo frenetico.

Di solito, però le persone che vivono questo momento, sentono che senza il Signore, non c’è gioia vera e manca sempre qualcosa; sono sempre disposte a riprendere il cammino e, prima o poi, riescono a recuperare. La preghiera in questi casi ti è grande aiuto.

La costanza incrollabile.

Questo è l’atteggiamento tipico di chi va avanti nella fatica, nel buio, con una forza interiore che nasce dal desiderio di fedeltà al Signore, che forgia, fortifica, soprattutto quando Egli tace.

Questa forza è soprattutto dono dello Spirito Santo; a te rimane però il compito fondamentale di invocarla e di aprirti ad essa, attraverso la preghiera.

Ma come ci si può abbandonare all’Assente?

Nessuno sa perché ci siano i momenti di forte buio. Di fatto esiste questa sofferenza cristiana che devi vivere con dignità e con profondità di spirito; alle persone che hanno il compito di essere guide è bene dire tutto; esse ti possono aiutare a superare questo momento difficile.

Ricorda sempre che guardando il Crocifisso tu impari tante cose.

C’è una regola di vita spirituale molto semplice e molto vera: chi non progredisce regredisce.

Dai senso ai segni di croce, che compi in questo periodo. Recupera in profondità il significato del tracciare su di te il segno di croce, della croce che ti salva.

Inizia la giornata, appena sveglio, e concludila, alla sera, con questo gesto.

Contempla il Crocifisso, senza nulla dire, soprattutto nei momenti più difficili.

Prega personalmente e/o comunitariamente la Via della Croce (Via Crucis).

In questi momenti lasciati guidare dal tuo padre spirituale.

6. Chiamato/a per andare

Secondo quanto l’Uomo di Dio aveva predetto da molto tempo, egli e i suoi Religiosi sarebbero andati in un paese straniero, dove non avrebbero capito la lingua. (Dalla Vita dell’Anonimo)

Dio invita Francesco di Paola alla missione, perché nella Bibbia non c’è vocazione che non abbia come scopo e fine la missione: ognuno di noi, dunque, al pari di Francesco di Paola, è chiamato/a per andare.

Il tuo essere con Gesù si risolverebbe in sentimentalismo se non ti spingesse verso gli altri.

Ogni dono (carisma, grazia) è dato dallo Spirito per l’utilità comune (1Cor 12,7), perché la vocazione, qualunque essa sia, è invito ad un servizio.

Chiamati ad essere apostoli.

Una vocazione si realizza attraverso momenti diversi, di luce e di gioia, certamente, ma anche di buio e di mancanza di sicurezza.

Ricorda, però, che la “realizzazione personale” non è il fine per cui tu cerchi la tua vocazione; non ti metti a cercare la tua vocazione “per te”, quanto meno sai che non lo fai solo per te, Egli ti vuol fare suo apostolo: ti chiama all’apostolato.

La realizzazione non è il fine, ma è il frutto che nasce spontaneo dalla risposta alla tua chiamata vocazionale, che a sua volta porta alla missione.

La grazia dell’apostolato.

La tua vocazione è quella di praticare e portare il Vangelo.

“Guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor 9,16): Paolo non considera questo incarico un impegno facoltativo, bensì una necessità imprescindibile e afferma ancora: “Sarei certamente infelice se non annunciassi il Vangelo” (cfr. 1 Cor 9,16-17). Per San Paolo l’evangelizzazione e la sua vita coincidono, si fondono in una cosa sola.

E così anche tu devi fare: andare là dove il Signore ti vuole, non per portare qualcosa che ti appartiene, ma qualcosa che anche tu hai ricevuto in dono e, cioè, il Vangelo.

Cambiare rotta, avvinti dallo Spirito.

Seguendo le orme di Francesco di Paola, all’inizio di questo itinerario ti sei messo/a in cammino. Ora, alla fine di questo itinerario anche a te, come a San Francesco di Paola che si reca in Francia all’età di 67 anni, viene chiesto di cambiar rotta.

Francesco non sa che cosa gli accadrà in Francia; anche tu non sai ancora, alla fine di questo itinerario di ricerca vocazionale, che cosa ti attenderà o quale potrebbe essere la vocazione-missione a cui ti chiama il Signore, non appena ti rendessi davvero disponibile a Lui con sincerità di cuore.

Seguendo questo itinerario ti sei semplicemente interrogato/a su che cosa deve fare un/a giovane quando sente che il Signore lo/a chiama: la difficoltà nasce, ora, nel voler essere fedeli e costanti in questo cammino di sequela del Signore.

Ora non si esclude nulla.

Inizia, invece, la parte più difficile e avvincente del tuo cammino, perché si tratta di incarnare concretamente tutto quello che sei venuto/a sin qui lentamente scoprendo.

Senz’altro è preferibile vedere un/a giovane che soffre perché sta faticando, piuttosto che un/a giovane tranquillo/a, perché non cammina, non procede, non si sforza.

Saprai per davvero metterti in cammino?

Saprai lasciarti mettere in discussione dal Signore?

Saprai essere un/una “giovane che cammina”?