I Minimi francesi della Trinità dei Monti e la canonizzazione di S. Francesco di Sales. 1652-1665
di François-Charles Uginet
Estratto dal volume: Y. Bruley (a cura di), Trinità dei Monti riscoperta. Arte, fede e cultura, Le Luca Editori d’Arte, Roma 2002, 67-70.
Il 19 aprile 1665 il papa Alessandro VII canonizzo il beato Francesco di Sales, vescovo di Ginevra e fondatore, con Madre de Chantal, dell’Ordine di Santa Maria della Visitazione. Durante la cerimonia solenne, che si svolse nella basilica di San Pietro a Roma, i Minimi francesi del convento della Trinità dei Monti portarono i due grandi gonfaloni con l’effigie del santo. II papa permise loro di conservarne uno, mentre l’altro fu inviato al primo monastero della Visitazione di Annecy, ancora conosciuto col nome della “Sainte Source”. Il gonfalone rimasto a Ramo fu trasferito da San Pietro al convento del Pincio in occasione di una processione che attraversò la citta il 21 giugno successivo. Ando quindi a riunirsi agli altri souvenirs legati alla memoria del santo vescovo di Ginevra, già conservati nella chiesa della Trinità dei Monti; alcuni dei quali pervenutici: confinati in mesti reliquiari. Benché il vescovo di Ginevra fosse suddito del duca di Savoia e benché l’ordine dei Minimi non avesse occupato un posto di particolare rilievo nella biografia del santo, i Minimi francesi di Roma beneficiavano di questi doni grazie alla presenza fra loro del padre Andre de Chaugy, fratello di una superiora della “Sainte Source”, incaricata dal 1647 di proseguire la canonizzazione del fondatore.
Al processo informativo locale, iniziato ad Annecy nel mese di gennaio 1623 su istigazione di madre de Chantal, aveva fatto seguito un processo apostolico istruito dai giudici remissori nominati dalla Santa Sede. Una serie d’infausti eventi – la peste, la guerra, l’inesperta raccolta delle testimonianze e la complessità crescente della procedura imposta da Urbano VIII proprio in quegli anni – ostacolarono la causa. Madre de Chantal morì nel 1641 senza aver potuto concludere nulla e costatando che “Coloro i quali trattano con la corte di Roma devono dar prova d’ assoluta pazienza”.
La procedura fu ripresa sotto il pontificato di Innocenzo X, con una nuova raccomandazione dell’Assemblea del Clero di Francia. Le suore di Annecy sempre padrone dell’incarico, l’affidarono ad un postulatore residente a Roma, Gabriel Besançon, teologo della cattedrale di Aosta, e ad un altro suddito del duca di Savoia, Cristoforo Giarda, barnabita e familiare del papa. A loro fu associato M. Montheron, prete di San Luigi dei Francesi. Il favore di cui godeva padre Giarda consenti di mandare avanti le case, o perlomeno rese più chiare le posizioni rimaste piuttosto confuse alla fine del precedente pontificato. Quando, nel 1648, si ottenne l’autorizzazione di avviare ad Annecy un processo di «non culto», che dal 1634 era la condizione sine qua non al proseguimento di qualsiasi causa di canonizzazione, si credette di scorgere i primi effetti del favore papale (e della costosa campagna di omaggi profferti ad influenti personaggi della Curia romana).
II procedimento sembrava avviato nella buona direzione, maggiormente da quando, in questo frangente il padre Giarda aveva ricevuto dal papa la nomina a vescovo di Castro. Per aiutare il povero barnabita ad affrontare le spese del suo insediamento, le Visitandine considerarono “che la riconoscenza (le) obbligava a donargli gli abiti da vescovo e gli ornamenti; e anche (…) a consentigli un prestito di cento pistole per avviare il suo modesto treno”. Sennonché poiché era stato nominata senza l’accordo di Ranuccio il Farnese, duca di Parma, ma anche di Castro e di Ronciglione, il vescovo fu accolto alla frontiera del ducato di Castro da due spadaccini incappucciati che, fermata la carrozza sulla quale egli viaggiava con Gabriel Besançon, gli scaricarono addosso quattro colpi d’arma da fuoco. Il vescovo, che stava recitando l’ufficio dei morti con il suo compagno di viaggio, morì due giorni dopo, in seguito alle ferite riportate. Besançon ne rimase così scosso che non poté fare più nulla per il resto di quell’anno”. Quanta a Montheron, doveva morire in quello stesso anno 1649, in seguito a un’operazione di calcolosi, portando con sé tutti gli anticipi di pensione che aveva richiesto per le cure. Nel 1650, Besançon fece ritorno in Val d’Aosta.
Al momento in cui Gabriel Besançon lasciò la città, vi giunsero invece Fabio Chigi già legato pontificio per i negoziati della Pace di Westfalia, e il frate minimo francese André de Chaugy, fratello di Madre de Chaugy, mandato dal suo Ordine in residenza al convento della Trinità dei Monti. Fabio Chigi assiduo lettore della Introduzione alia vita devota, aveva una profonda venerazione per Francesco di Sales. Il suo ingresso nel Sacra Collegio e la sua nomina a segretario di Stato da Innocenzo X, e infine la sua elezione al soglio pontificio con il nome di Alessandro VII, diedero nuovo impulso alla procedura di canonizzazione. Egli fece consigliare a Madre de Chaugy di designare André de Chaugy come postulatore essendo egli interamente sostentato e per di più in un ottimo monastero ove le eviterebbe molte spese, tanto per la sua parca amministrazione quanto perché non necessiterebbe d’alcuna pensione”. Il religioso, che era stata conclavista di Alessandro VII e al quale quest’ultimo aveva data l’incarico d’insegnare la lingua francese al proprio giovane nipote Flavio Chigi godeva della completa fiducia del papa. Su raccomandazione personale di Alessandro VII, padre de Chaugy scelse Jean Miget, chierico della Franca Contea, originario di Pontarlier e residente a Roma, per mettere in buona forma gli elementi del processo e per rispondere ai quesiti scritti dei giudici romani. Tuttavia, Alessandro VII rimaneva molta scrupoloso e non voleva in nessun caso infrangere le regole della procedura “per tema che i maligni cogliessero l’occasione della sua devozione [a Francesco di Sales], per dire che quella canonizzazione era un alto di favore“.
II padre de Chaugy e l’avvocato Miget fecero del loro meglio, non senza che il primo si trovasse esposto all’invidia del vescovo di Le Puy, Henri de Maupas, rappresentante dell’Assemblea del Clero francese e ufficialmente delegato dal re di Francia per sollecitare la canonizzazione. Questi vedeva con un certo stupore un modesto frate come mandatario ufficiale della Visitazione per postulare la causa di Francesco di Sales. Poco al corrente delle usanze romane con molte probabilità egli ignorava che – come scrisse il padre de Chaugy:
“ogni gloria e splendore di quest’incarico consiste nell’essere in giro per Roma dalla mattina fino alla sera, talvolta alla porta dell’uditore di un cardinale, dove bisogna rimanere anche tre o quattro ore e ritornarvi cinque o sei volte senza ottenere udienza; tal altra, alla porta di un promotore della fede che ha trenta cause come la vostra e per di più caldeggiate da teste coronate; tal altra ancora alla porta degli avvocati concistoriali assediati da un’infinità di cause, per mettere loro pressione e supplicarli di preferire la vostra; talvolta alla porta di un traduttore …, talvolta alla porta di un piccolo copista che guadagna un giulio al giorno per mettergli fretta e tutto questa dalla mattina fino alla sera, sotto il sole rovente e mortale di Roma”.
Finalmente, il 18 dicembre 1661 Alessandro VII firma il breve che dichiarava Francesco di Sales beato, e ne fissava la festa il 29 gennaio. Alcune difficolta finanziarie fecero si che si ammettesse un modesto apparato celebrativo per la beatificazione, in previsione della canonizzazione solenne che doveva seguire poco dopo. Una cerimonia si svolse a San Pietro l’8 gennaio 1662, e l’altra a San Luigi dei Francesi il 29 di quel mese. Jean Miget, il fedele avvocato borgognone completamente votato alla causa di san Francesco di Sales, senza aver chiesto né mai ricevuto alcun premio per il suo lavoro, mori nella primavera del 1662 tra le braccia del padre de Chaugy, cedendo il frutto del suo lavoro, ossia tremila scudi. Per il suo convento del Pincio il minimo ottenne da Alessandro VII di poter de dedicare al nuovo beato la cappella Simonetta (la seconda a destra entrando nella navata), che fece decorare a sue spese.
La cerimonia di canonizzazione fu posticipata in seguito ad alcuni incidenti avvenuti nel 1662 fra l’ambasciatore di Francia, duca di Créqui e la guardia corsa pontificia. II duca di Créqui e i prelati francesi lasciarono Roma e non vi fecero ritorno se non dopa la ratifica da parte di Alessandro VII dell’umiliante trattato di Pisa (12 febbraio 1664). Le impalcature erette in San Pietro in vista della canonizzazione erano ancora in piedi. Ma il papa non aveva fretta:
“Checché se ne dica, scriveva l’uditore di Rota Bourlemont a Hugues de Lianne, si pensa che la celebrazione solenne sarà posticipata fino a primavera, infatti da quando i papi prendono una cura così attenta della propria salute, vi sana pochi esempi di messe celebrate in San Pietro tra il 1° dicembre e il 1° marzo, a causa del freddo che fa’ all’ interno della Basilica, in quel periodo dell’anno.”
Henri de Maupas, intanto divenuto vescovo di Èvreux non demordeva dalla sua ostilità nei confronti del padre de Chaugy. Fino all’ ultimo minuto tento di escludere il minimo e i suoi confratelli della Trinità dei Monti dall’onore di portare il gonfalone del santo durante la cerimonia di canonizzazione celebrata i 19 aprile 1665, e ciò con grande irritazione del cardinale Flavio Chigi, il quale impose il suo volere in qualità di protettore dell’Ordine.
Il padre de Chaugy poté così tenere “nella mana destra … il grande cordone con nappa dorata che ferma lo stendardo”. I frati della Trinità dei Monti commissionarono al pittore Fabrizio Chiari una pala per l’altare maggiore della cappella della loro chiesa dedicata al santo, che doveva rappresentare Francesco di Sales nell’atto di ricevere il cordone da san Francesco da Paola. Questa tela e tutte le decorazioni che raccontavano la vita del Santo savoiardo scomparvero alia fine del XVIII secolo.
Bibliografia: Per questa breve scheda si è utilizzato: Bonnard, 1933, pp. 78-79; Lecouturier, 1933, ad indicem [Andre de Chaugy]; Renoux, 1993.