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Tag: sant'andrea delle fratte

Sabato III Settimana di Quaresima – 18 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Os 6, 1-6; Sal 50 (51))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 18, 9-14)

In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano.

Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”.

Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”.

Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Riflettiamo insieme

Quando ci crediamo giusti siamo lontani da Dio. Gesù è venuto a insegnarci l’umiltà, a riconoscere, amare e stare al nostro posto, che Dio ci ha assegnato nel Suo disegno. 

A Dio non interessa la nostra “bravura” ma un cuore che ascolti e cerchi Lui. A quel punto Lui può donarci ciò che è necessario per vivere e per presentarci al suo cospetto. 

Occorre coraggio per stare davanti a Dio, riconoscendo che siamo peccatori, cioè non siamo in grado di comprendere il suo pensiero, e prendendo bene tutto ciò che ci arriva, il bene come il male.

Preghiamo insieme

Padre, abbi pietà di me peccatore: non sono degno di presentarmi davanti a te, ma confido nell’amore di Cristo che si è offerto per aprire a tutti gli uomini l’ingresso nel Tempio della comunione con Te.

Venerdì III Settimana  di Quaresima – 17 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Os 14, 2-10; Sal 80 (81))

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12, 28b-34)

In quel tempo, si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?».

Gesù rispose: «Il primo è: “Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. Il secondo è questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è altro comandamento più grande di questi».

Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocàusti e i sacrifici».

Vedendo che egli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Riflettiamo insieme

Amare vale più di tutti i sacrifici e gli olocausti che l’uomo può offrire a Dio. Se si comprende questa verità, ci assicura Gesù, che non si è lontani dal regno di Dio. 

Il nostro più grande problema è che oggi la parola amore è diventata tutto e il contrario di tutto. La troviamo scritta in ogni dove, che risuona in ogni paio di cuffie, riempita di ogni tipo di significato. Il risultato è che non sappiamo più amare e scambiamo tutto per amore, anche ciò che non lo può essere in modo assoluto. 

Quei pochi che, invece, riescono a mantenere il significato autentico della parola amore sono fraintesi, schivati, denigrati perché accettano le conseguenze del loro amore. Questo perché hanno compreso che l’amore non è mellifluo, non è alla ricerca della sua sola felicità, non è solo godimento. L’Amore è Gesù che pende dalla Croce, Gesù che dà la vita perché gli altri possano sperimentare l’amore e giungere alla vita vera. Amare secondo questo metro vuol dire amare con l’Amore di Dio.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami di imparare dalla tua Croce il vero significato della parola amore. Donami di non perdere mai questo significato e di essere testimone d’amore per gli altri. Amen. 

Giovedì III Settimana di Quaresima – 16 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Ger 7, 23-28; Sal 94 (95))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 11, 14-23)

In quel tempo, Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle furono prese da stupore. Ma alcuni dissero: «È per mezzo di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.

Egli, conoscendo le loro intenzioni, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull’altra. Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl. Ma se io scaccio i demòni per mezzo di Beelzebùl, i vostri figli per mezzo di chi li scacciano? Per questo saranno loro i vostri giudici. Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio.

Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, ciò che possiede è al sicuro. Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via le armi nelle quali confidava e ne spartisce il bottino.

Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde».

Riflettiamo insieme

Nella società semitica “il dito di Dio” era il simbolo della potenza di Dio e del suo Spirito. Spesso si pensava (e purtroppo si pensa ancora), sbagliando, che tramite questa forza si abbattevano sui popoli le calamità e le piaghe come quelle di Egitto. Gesù nell’indicare se stesso come la Presenza di Dio in mezzo al popolo è il vero miracolo, così facendo Egli rivela che la mano del Signore con cui ci raggiunge non è per colpire, ma per liberarci dalle catene del maligno che ci vuole tenere schiavi. È per accarezzarci e guarirci ricreandoci dal di dentro e restituendoci a noi stessi. 

Chi è per il Signore “crede nell’amore di Dio, il più grande tesoro donato all’umanità, e fugge il peccato, la più grande disgrazia della storia (S. Giovanni Paolo II). Essere contro Cristo vuol dire rimanere nella nostra incredulità o cercarlo nei segni o negli indizi, mentre lo si può vivere nella realtà della vita quotidiana. Sta a noi scegliere se disperdere o raccogliere, o meglio, raccoglierci nella certezza che la sua è una mano “che non giudica, ma è la mano misericordiosa del Padre”.

Preghiamo insieme

Ottienimi, Signore, di credere nel Tuo santo Amore e di vincere le catene maligne che mi circondano con la Tua santa Grazia. Amen.

Mercoledì III Settimana di Quaresima – 15 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Dt 4, 1.5-9; Sal 147)

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5, 17-19)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:

«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto.

Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Riflettiamo insieme

“Perisce il mio popolo per mancanza di conoscenza” (Os 4,6). I Padri della Chiesa hanno insistito sul come non si possa realmente amare ciò che non si conosce.

Frederick William Faber, un teologo del XIX° secolo, disse che “amare significa volere il bene della persona amata”. Se ciò è vero, dunque, da parte nostra, dobbiamo imparare a bramare la salvezza, ancor prima che per noi stessi, per il semplice fatto che Dio la desidera. E per farlo dobbiamo imparare a credere!

Da parte Sua, il Signore conosce meglio di noi stessi la nostra debolezza, ma sa altrettanto bene quanto potremmo darGli ed è per questa ragione (perché ci ama davvero!) che intende strapparci alla mediocrità e farci veramente felici, e a tale scopo ci ha donato la Bibbia, con la quale vuole farci innamorare di Lui.

Chi osserverà i Suoi precetti sarà considerato grande nel regno dei cieli perché già vive di essi e sperimenta nel suo intimo la verità nella quale un giorno sarà immerso. Ma potremo conoscere il vero Cuore di Dio senza conoscere l’insegnamento della Bibbia?

Preghiamo insieme

Ottienimi, Signore, di incontrarti nella tua parola affinché conoscendoti, ti ami, e amandoti voglia conoscerti sempre di più!

Martedì III Settimana diQuaresima – 14 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Dn 3, 25.34-43; Sal 24 (25))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 18, 21-35)

In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.

Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”.  Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito.

Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto.

Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Riflettiamo insieme

Siamo particolari. Ci facciamo i conti soprattutto quando ci conviene. È il caso del perdono che quando lo dobbiamo ricevere deve essere illimitato, ma quando siamo noi a darlo deve essere contato. 

D’altronde noi siamo sempre quelli buoni, quelli che ci mettono il cuore e quando qualcuno ci offende, quel nostro cuore ferito è poco propenso ad aprirsi al perdono. E allora ci facciamo i calcoli e quel nostro modo di fare non è tanto lontano da quello di Pietro che credendo di tenersi largo propone un perdono che arrivi fino a sette volte. Ma Gesù dà ancora più i numeri e fa capire che nel perdonare bisogna perdersi e che occorre tenere in conto piuttosto l’atteggiamento di Dio nei nostri confronti. 

La verità è che facciamo fatica a perdonare perché non ci sentiamo dei perdonati! D’altronde noi siamo quelli buoni, sono sempre gli altri a fare il male… Ma uno solo è sempre Buono e non siamo né io né tu. Sentiamoci dei perdonati e saremo in grado di perdonare senza fare i conti a nessuno.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami di abbandonare il modo di misurare umane per imparare quello divino. Donami di imparare a perdonare e ad amare con la stessa misura che tu hai usato sulla croce. Amen.

Lunedì III Settimana diQuaresima – 13 Marzo 2023

Liturgia della Parola (2Re 5, 1-15a; dai Sal 41 (42) e 42 (43))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 4, 24-30)

In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret:] «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».

All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Riflettiamo insieme

In noi c’è un profondo attaccamento alla “patria”, ai criteri assorbiti dalla cultura e dalla società di provenienza. Il rapporto con Dio può prendere due direzioni: o entriamo noi nei suoi criteri o tentiamo di far entrare Lui nei nostri. 

La vera amicizia con Dio comincia quando accettiamo di uscire dalle nostre categorie. Questo è l’atto di fede. Senza questo Dio non può operare. Per entrare nella comunione con lui dobbiamo uscire dai nostri pensieri e camminare. Se non ci vogliamo muovere, ci riempiamo di sdegno, se non entriamo nel mistero e Lui….se ne va.

Preghiamo insieme

Donaci, Signore, di entrare con te nel combattimento della fede e di imparare a lasciarci guidare da te. Fa’ che non siamo noi a “cacciarti” dal nostro cuore e mandarti lontano, ma che ti accogliamo con cuore aperto e sincero. Amen.

CONCERTO QUARESIMALE – 18 MARZO 2023

Il coro Vergine del Miracolo invita al “Concerto Quaresimale” che avrà luogo nella nostra Basilica il 23 Marzo 2023 alle ore 19.15.

Direttore: Alessia Galli

Organista: Francesco Cacione

III Domenica di Quaresima – 12 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Es 17, 3-7; Sal 94 (95); Rm 5, 1-2.5-8)

Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 4, 5-42)

In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. 

Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. 

Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani.

Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».

Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». 

Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: Io non ho marito. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». 

Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. 

Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». 

Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». 

La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?».

Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». 

Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». 

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni.

Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Riflettiamo insieme

Un orario: mezzogiorno, un luogo: il pozzo di Sicar, due persone: Gesù e una donna samaritana, sono questi gli ingredienti di un incontro che può trasformare la vita.

Recarsi a mezzogiorno al pozzo è sintomo di due cose: qualcosa da nascondere e un fortissimo disagio. La donna samaritana vive con malessere la sua condizione familiare, la percepisce come una rovina e quindi scappa dalla possibilità di incontrare le altre donne, dall’occasione di essere derisa, esponendosi alla pericolosità di andare ad un pozzo nelle ore più calde del giorno. Eppure è lì che Dio la aspetta: nel luogo più pericoloso, nel disaggio che deriva dal suo peccato Dio la attende per trasformargli la vita. Così dopo l’incontro non si nasconde più, anzi usa gli argomenti del suo peccato per farsi testimone della grandezza di quell’uomo incontrato. E lo fa al punto da divenire testimone autentica che trasmette agli altri la sua esperienza. 

Questo episodio del vangelo ci ricorda che non c’è peccato in cui non si possa trovare la mano di Dio disposta a rialzarci. 

Preghiamo insieme

Signore Gesù, donami la grazia di non sprofondare nella disperazione ma di saper riconoscere, nel dolore che mi affligge, quel gancio d’Amore che Tu hai preparato per trarmi dall’abisso del male. Amen. 

Sabato della II Settimana  di Quaresima – 11 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Mi 7, 14-15.18-20; Sal 102 (103))

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 15, 1-3.11-32)

In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: 

«Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. 

Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. 

Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. 

Si alzò e tornò da suo padre. 

Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. 

Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. 

Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. 

Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Riflettiamo insieme

Pare che tutti abbiamo da rimproverare qualcosa a Cristo. Lo consideriamo o troppo duro o troppo indulgente, troppo autoritario oppure poco presente. Anche i farisei trovano in lui qualcosa che non va loro giù: “accoglie i peccatori e mangia con loro”. Questo è il grande paradosso dell’uomo: bisognoso di essere salvato dal peccato e dalla morte, si ostina a non considerare che Dio possa essere incredibilmente vicino per farlo.

Gesù risponde con una meravigliosa parabola piena di contrasti: tristezza e gioia, fame e banchetto, festa e rancore, morte e vita. Contrasti che si trasformano in una realtà unitaria e unita che possiamo chiamare comunione. La quaresima, appunto, è il tempo favorevole per la conversione che non è altro che presentarci a Dio con la nostra miseria e sentire il fuoco del suo abbraccio, mettersi a mangiare con lui, osare mangiarlo: fare comunione.

Pare che tutti abbiamo da rinfacciare qualcosa a Cristo. Egli, incurante delle critiche che gli si muovono, ma preoccupato per la nostra felicità, va per la propria strada, quella della misericordia che unisce l’uomo al suo Dio Padre, anzi al suo Dio Papà.

Preghiamo insieme

Signore Gesù, nella tristezza del mio peccato e nella rabbia della mia sconfitta, donami di sperimentare la tua pace e la gioia riservata al figlio ritrovato, donami di sentirmi amato. Amen.

Venerdì della  II Settimana  di Quaresima – 10 Marzo 2023

Liturgia della Parola (Gen 37, 3-4.12-13a.17b-28; Sal 104 (105))

Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 21, 33-43.45-46)

In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo:

«Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano.

Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo.

Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero.

Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?».

Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo».

E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti».

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.

Riflettiamo insieme

La fine dei contadini menzionata nel Vangelo di oggi non indica la “ripicca” che Dio può nutrire nei confronti di chi non Lo ascolta, bensì la naturale conseguenza del rifiuto del Suo amore. Il cristiano infatti sa che l’amore di Dio non è “uno tra i tanti”, ma è esso stesso l’amore vero e, per questa ragione, con la vita vera. Ecco perché il rigettarlo ci conduce alla morte.

Poniamoci prima di tutto questa domanda: lo amiamo perché abbiamo bisogno di Lui, oppure – com’è degno del vero amore – abbiamo bisogno di Lui perché lo amiamo?

E’ facile infatti ingannarci nel credere di amare il Signore, perseverando in questo abbaglio!

Questa pagina evangelica, allora, oltre al ricordarci che il Padre ci ha amati a tal punto da mandare il proprio Figlio Unigenito (ci siamo forse abituati a questa verità inaudita?), ci ricordi che non tutto ciò che chiamiamo “amore” è veramente tale. Perché disse bene sant’Agostino: “ogni amore o ascende o discende; (…) [perché] se è cattivo precipitiamo nell’abisso…”.

Preghiamo insieme

“Ti loderò, Signore, mio Dio, con tutto il cuore e darò gloria al tuo nome per sempre, perché grande con me è la tua misericordia: hai liberato la mia vita dal profondo degli inferi!” (Sal 86,12-13).